LA MORFINA PSICHICA
La
biologia e la fisiologia sono scienze ancora giovani, se misurate col metro
della storia umana; scienze, quindi, che solo in parte permettono di conoscere
le possibilità della vita e degli organismi. Ancora più limitate
sono le acquisizioni della psicologia: nessuno conosce i confini della mente, di
questo «iceberg» in gran parte nascosto sotto la superficie della
coscienza.
Dalla più remota antichità
ai giorni nostri, l'uomo è stato spettatore e attore di fenomeni ai quali
ha attribuito un contenuto magico, animistico o religioso. La stragrande
maggioranza di tali fenomeni ha trovato negli ultimi secoli una interpretazione
scientifica. Così, per esempio, la stregoneria è diventata
medicina, l'astrologia astronomia, l'alchimia chimica. Vi è però
un insieme di fenomeni che ancora resiste alle indagini della scienza
sperimentale.
Si tratta di quei fenomeni cosiddetti
«occulti», di cui la mente umana è protagonista e che la
critica più severa non riesce a relegare nel novero delle superstizioni,
ma dei quali è costretta a prendere atto anche se fino ad oggi non riesce
a individuarne il meccanismo. L'esempio più persuasivo riguarda
l'ipnotismo, che non solo ha trovato diritto di cittadinanza nella scienza
ufficiale, ma va assumendo una importanza crescente come tecnica applicativa
nella diagnosi e nella terapia di svariati disturbi psichici o a sfondo
psichico.
Come molte altre branche
«eretiche» della medicina, l'ipnotismo ha un vizio di origine: per
troppo tempo è stato legato alla magia, alla stregoneria e negli ultimi
due secoli alle esibizioni di «magnetizzatori», di
«guaritori», di ciarlatani d'ogni genere fino a decadere sui
palcoscenici dei teatri di provincia e dei baracconi da fiera. E bisogna dire
che proprio per questo, quando si parla di ipnotismo, si pensa subito al solito
gruppo di quattro o cinque persone che, di fronte a una platea divertita, si
sottopongono volontariamente al «fluido» dell'ipnotizzatore che li
«suggestiona» o li «addormenta» al punto tale da metterli in
balia della sua «volontà», così da indurli a comportarsi
in modo assurdo o ridicolo. Spettacoli del genere suscitano in chi vi assiste
una di queste due reazioni: o un completo scetticismo, e quindi l'idea che il
sedicente ipnotizzatore o magnetizzatore si serva di complici; oppure la
credenza che l'ipnotismo sia in grado di ridurre una persona a comportarsi da
automa e a commettere azioni contrarie alla propria
volontà.
Ora può apparire strano che
la medicina si occupi di una pratica così «poco seria», spesso
malfamata, comunque screditata qual è quella ipnotica. Il fatto è
che oggi si parla troppo dell'ipnotismo all'antica o popolare, e troppo poco
dell'ipnotismo moderno, in particolare di quello che viene adottato dai medici.
Esso non pretende certo di fare miracoli e ha dimostrato che il potere di
ipnotizzare non è riservato a individui dotati di poteri eccezionali, ma
può essere acquisito attraverso varie tecniche, la cui scelta dipende
dalle preferenze del medico o dal tipo di paziente. Tali tecniche vanno da
appropriati movimenti delle mani e delle braccia alla fissazione dello sguardo,
da stimolazioni auditive o luminose alla suggestione verbale. Meno teatrali di
quelle usate dagli ipnotizzatori di professione, sono in sostanza le stesse. La
differenza sta in questo: che nel praticare l'ipnosi, il medico procede con
cautela perché ha coscienza dei limiti di questa
terapia.
In quali casi l'ipnotismo si dimostra
efficace? Anzitutto permette al medico di sopprimere il dolore, e in questo
campo ottiene i successi più spettacolari. La sua azione sulle sofferenze
è così potente, da indurre alcuni studiosi a dire, impropriamente
ma in termini evocativi, che l'ipnosi agisce come una «morfina
psichica». Dalla soppressione di nevralgie ribelli e di dolori articolari
acuti, la pratica ipnotica si è spostata, già dal secolo scorso,
alla eliminazione delle sofferenze operatorie e postoperatorie. Vi sono dentisti
che eseguono le estrazioni senza ricorrere ad anestetici, ma inducendo una
leggera ipnosi nei pazienti. È un esempio che può avere una portata
pratica limitata. Ma che dire allora degli ostetrici che insegnano alle loro
clienti il parto indolore mediante l'ipnosi e
l'auto-ipnosi?
Di recente, sono state messe in
evidenza le possibilità di quella che si può chiamare, più
propriamente, terapia ipnotica o ipnoterapia: fumatori inveterati che hanno
smesso di fumare, alcoolizzati che hanno smesso di bere, balbuzienti che hanno
acquistato un linguaggio fluente, obesi che sono tornati a un peso normale,
asmatici che sono riusciti a dominare le loro crisi, donne frigide o sterili che
sono diventate normali, uomini impotenti che hanno ritrovato vigore, anomalie
sessuali che sono scomparse. Il critico malevolo potrebbe insinuare che la
ipnosi contemporanea, pur piccandosi di essere scientifica, è tornata
bellamente a spacciarsi come panacea. Dalle verruche all'ipertensione, dalla
balbuzie all'emicrania, dai dolori somatici della più varia origine alle
psiconevrosi, si può dire che non v'è cantuccio della patologia
umana in cui la terapia ipnotica non vanti qualche successo.
LA REALTÀ DELL'IPNOTISMO
Qual è il filo
conduttore che ci permetta di orientarci in questo dedalo apparentemente
inestricabile? «Si può dire, semplificando al massimo i concetti a
scopo pratico», risponde il neurologo professor Andrea Romero, «che
nell'ipnosi l'organismo funziona a un livello emotivo. Perciò l'ipnosi
può ottenere, in campo fisiologico come in campo psicologico, tutto
ciò che può ottenere l'emozione in un soggetto normale. Decifrare
la fisio-psicologia dell'emozione vuol dire decifrare la fisio-psicologia dei
fenomeni ipnotici. Ogni caso morboso, in cui sia in gioco una componente
emotiva, sia primaria che secondaria a una lesione organica, può giovarsi
di un trattamento ipnotico. La medicina psicosomatica va abituandoci sempre
più alle sorprese etiopatogenetiche e terapeutiche dimostrando una sempre
più estesa applicabilità del meccanismo emotivo nella genesi delle
più disparate affezioni somatiche e viscerali. L'ipnosi è una
forma di apprendimento, o meglio un apprendere carico di emotività,
insomma, un livello d'integrazione strettamente connesso con la
reattività emotiva».
L'efficacia
dell'ipnosi è dimostrata non solo nella soppressione del dolore fisico
(nevralgie, sofferenze articolari, parto e interventi chirurgici) e nella cura
di malattie psicosomatiche (ossia psichiche con ripercussioni organiche) ma
anche nella terapia delle nevrosi. Il tabagismo (intossicazione per eccesso di
sigarette), l'alcoolismo, la balbuzie, l'obesità, molte disfunzioni
organiche e psichiche della sfera sessuale sono curabili mediante l'ipnosi
appunto perché possono essere manifestazioni
nevrotiche.
«Oggi coloro che praticano
l'ipnosi psicoterapica» osserva un illustre psicanalista, il professor
Emilio Servadio, «evitano di applicarla in modo superficiale e ingenuo come
80 o 90 anni fa, quando gli ipnotizzatori pretendevano di poter neutralizzare e
far scomparire sintomi nevrotici anche gravi suggestionando in modo perentorio
l'ipnotizzato nel senso desiderato. Più di una volta si è
riscontrato che se la suggestione ipnotica può far sparire un sintomo
psiconevrotico, un altro tipo di disturbo nevrotico spesso più grave (o
una affezione psicosomatica) appare dopo un certo tempo nel paziente. È per
tale ragione che, attualmente, in psicoterapia l'ipnosi serve soprattutto per
indebolire le barriere inibitrici che impediscono al paziente di lasciar
affiorare alla sua coscienza le radici autentiche del suo problema interiore.
Per ottenere ciò, si utilizza un procedimento detto ipno-analisi che
consiste nel diminuire le resistenze psichiche e nel far prendere coscienza di
ciò che era inconscio; procedimento, questo, essenzialmente eguale a
quello della psicoanalisi».
Se per la scienza,
e in particolare per la medicina l'esistenza dell'ipnosi è innegabile,
essa resta però ancora un mistero. Quindi non ha più senso il
ricorrente tentativo di negare realtà allo «stato ipnotico».
Ciò che l'ipnosi fa è provato da innumerevoli documenti che
continuano ad accumularsi. Ciò che essa è rimane tuttora
enigmatico. La sua denominazione costituisce già un equivoco: deriva dal
greco ypnos, sogno. Ma l'ipnosi non è un sogno artificiale e tanto meno
naturale perché l'individuo ipnotizzato non dorme né sogna,
bensì segue ed esegue quello che gli dice l'ipnotizzatore, parla e
ragiona.
«Nessun indice sicuro di stato
ipnotico è stato finora trovato. Non indici psicologici, né fisici
né biologici né elettrometrici, malgrado ripetute ricerche e
frequenti pubblicazioni in proposito. L'ipnosi pare non modificare per nulla il
tracciato elettroencefalografico, i cui mutamenti sono unicamente dovuti alle
manovre eventualmente intraprese in stato d'ipnosi. Può essere un'amara
delusione non avere ancora trovato i corrispettivi elettroencefalografici
dell'ipnosi; ma occorre tenere presente che non si sono ancora scoperti neppure
i rapporti fra le manifestazioni elettriche cerebrali e le classiche sindromi
psicopatologiche. Dalla carenza di inconfondibili dati distintivi deriva
l'impossibilità di definire in modo soddisfacente l'ipnosi. Ma questo
depone contro la sua realtà? Si potrebbe un po' scherzosamente ricordare
che tutti fanno all'amore pur mancando dell'amore una esauriente definizione o
meglio essendovene infinite, che si escludono reciprocamente».
(Romero).
L'ipnotismo, praticato certamente fin
dall'antichità da stregoni e guaritori, fu riscoperto verso la fine del
Settecento dal medico tedesco F.A. Mesmer, il quale gli diede una prima
interpretazione di colore scientifico attribuendo a un supposto «magnetismo
animale» i fenomeni che esso provocava. Il fatto che, dai tempi di Mesmer
ai giorni nostri, gli scienziati non siano stati in grado di dirci che
cos'è l'ipnosi, qual è il suo meccanismo d'azione, in qual modo
provoca modificazioni nel cervello e nella personalità dell'individuo
ipnotizzato, ha certamente contribuito, insieme con il discredito che i
ciarlatani hanno gettato su questa pratica, a indurre la generalità della
classe medica a trascurare o perfino a rifiutare le possibilità che
l'ipnotismo offre alla diagnostica e alla terapia. Tuttavia proprio fra i medici
si è andato affermando, negli ultimi decenni, un atteggiamento
realistico: in attesa di chiarire il mistero dell'ipnosi, si possono studiare
con profitto le sue applicazioni pratiche, sperimentare le sue
possibilità.
L'ipnosi medica, che ha
superato nella sua storia numerosi periodi avversi, ed altrettanti favorevoli,
oggi è nuovamente presa in seria considerazione. Le sue applicazioni in
medicina, le teorie che la riguardano, la luce entro cui è vista, la
inquadrano fra le tecniche più attuali della psicoterapia. Tuttavia la
sua essenza è sempre quella di molti secoli addietro, e oggi sta per
rinnovarsi uno di quei periodi in cui ci si accorge dell'utilità
dell'ipnosi. Essa non è più un'arte stregonesca o un'attrazione da
avanspettacolo; non è più un potere riservato a pochi iniziati
dotati di supposti poteri straordinari e tanto meno un trucco per sbalordire gli
ingenui. È una scienza vera e propria che si va affermando con vigore in campo
mondiale.
Mentre la genuinità dell'ipnotismo
non è più messa in dubbio (e non si tratta solo di
autosuggestione, perché si possono ipnotizzare anche animali), molto
contrastanti sono ancora i giudizi che gli scienziati danno su quella congerie
di fenomeni che sono detti medianici, spiritici, metapsichici, paranormali,
supernormali, parapsicologici. Non sono una scoperta moderna, anzi si può
dire che sono antichi quanto l'umanità perché se ne trovano
abbondanti testimonianze nella cultura dei popoli di ogni tempo e paese, in
connessione con l'animismo, la magia e la religione. Infatti tali fenomeni
venivano attribuiti agli spiriti dei morti, alle divinità e ai
demoni.
Questa interpretazione soprannaturale prese
forma moderna a partire dal 1848, negli Stati Uniti, con il clamoroso caso delle
sorelle Margaret e Katie Fox, le quali affermavano di essere in grado di entrare
in comunicazione con i defunti per mezzo di un alfabeto consistente in colpi che
essi producevano su un tavolino. Da allora, la moda dei «tavolini
parlanti» dilagò in America e in Europa perché si trovarono
numerosi individui in grado di funzionare da medium, ossia da tramite fra i vivi
e i defunti.
La loro manifestazione più
comune era uno stato di automatismo neuromuscolare che li induceva a produrre
colpi di risposta alzando e abbassando tavolini a tre gambe, oppure a scrivere o
a parlare per conto di «entità disincarnate». Ben presto vi
furono medium in grado di produrre fenomeni più impressionanti: luci e
suoni di provenienza misteriosa, movimenti di oggetti o dello stesso medium
senza contatto apparente, e perfino «materializzazioni» cioè
apparizioni parziali o totali di
«fantasmi».
Di regola, il medium cade in
trance, cioè in uno stato particolare di dissociazione psichica che
riduce o annulla la coscienza, permettendo quindi l'affioramento di elementi
appartenenti all'inconscio. Il trance, caratterizzato dal rilassamento
dell'attenzione, da una sorta di «distrazione» nei confronti
dell'ambiente, fino a una specie di sonno più o meno profondo, si
riscontra, in diversi gradi, in tutte le manifestazioni
medianiche.
Per favorire questo stato, il medium
deve mettersi in una condizione di raccoglimento fatta più di
ricettività che di attività, di passività piuttosto che di
tensione. Più un medium è allenato, meno tempo impiega a cadere in
trance, come accade agli individui abituati a farsi ipnotizzare o a praticare
l'autoipnosi. Si tratta senza dubbio di condizionamento, ma sembra che fra lo
stato ipnotico e quello di trance vi sia poco o nulla in
comune.
LO STRAORDINARIO ECTOPLASMA
La ricca fenomenologia
medianica venne sfruttata anzitutto come base «sperimentale» dalla
dottrina dello spiritismo, che ebbe il suo maggiore interprete nel francese
Allan Kardec; ma fu oggetto di indagini anche da parte di illustri scienziati,
come lo psicologo William James negli Stati Uniti, il fisico William Crookes in
Inghilterra, il fisiologo Charles Richet in Francia, lo psichiatra Cesare
Lombroso in Italia. E in generale, questi scienziati convalidarono
l'autenticità dei fenomeni medianici, offrendo così un valido
appoggio ai sostenitori dello spiritismo.
In
realtà, fino a oggi non è stata raggiunta la minima prova che le
manifestazioni dei medium siano provocate dall'intervento di
«spiriti». Anzi, la maggior parte di esse non ha retto alle revisioni
critiche compiute negli ultimi decenni. Per spiegare i fenomeni fisici della
medianità, e in particolare le «materializzazioni», si era
parlato dell'ectoplasma. Secondo i suoi assertori, si tratta di una sostanza
misteriosa, visibile o invisibile, che si esteriorizza dal corpo del medium. In
una prima fase si trova allo stato solido o anche vaporoso; altre volte è
una specie di filamento in grado di dare colpi su un tavolo, di muovere oggetti
o di sollevare lo stesso medium; oppure, quasi sempre con grande
rapidità, l'ectoplasma, che ha la straordinaria proprietà di
cambiare forma e consistenza, si organizza, costituisce degli abbozzi, prende
l'aspetto di membra e, quando il fenomeno è completo, di un intero corpo
che può avere tutte le caratteristiche anatomiche e fisiologiche del
normale organismo umano. L'ectoplasma è sempre strettamente dipendente
dal corpo del medium, di cui è una specie di prolungamento plastico e in
cui viene riassorbito al termine dell'esperimento senza lasciare alcuna
traccia.
A nessuno può sfuggire l'importanza
eccezionale che rivestirebbero, per la scienza in generale, i fenomeni di
«materializzazione», specie quelli prodotti da ectoplasmi, se
risultassero veramente genuini. Essi sono tanto differenti e perfino opposti a
tutto ciò che rappresenta il patrimonio attuale delle scienze,
specialmente fisiologia, fisica e chimica, che non potrebbero mancare di
produrre una delle più grandi rivoluzioni che si siano mai verificate
nella storia del pensiero umano. Da oltre un secolo, lo spiritismo si è
giovato di molti e rinomati medium «materializzatori», ma finora non
esiste nessuna prova scientifica circa l'esistenza del prodigioso ectoplasma,
che perciò rimane un termine puramente convenzionale e arbitrario. È
stato invece provato e riprovato che questa sostanza, lungi dall'essere
misteriosa, è composta di materiali comunissimi: tutte le volte che si
sono prelevati frammenti del presunto ectoplasma, si è sempre trovato che
era costituito da stoffa sottile, carta, bianco d'uovo, polpa di legno e altri
materiali eterogenei che i medium nascondono nelle vesti e sul corpo o anche
nello stomaco da cui li rigurgitano al momento opportuno. Oppure il medium ha
dei complici che gli forniscono questo materiale, o che sostengono la parte del
«fantasma».
Ancor oggi gli spiritisti
continuano ad appellarsi alle sperimentazioni compiute da James e da Crookes, da
Richet e da Lombroso, senza considerare il fatto che oggi non esiste un solo
scienziato autentico che sia in grado di convalidare l'esistenza delle
«materializzazioni» e dell'ectoplasma. Anche i cosiddetti fenomeni di
telecinesi o di levitazione, ossia movimenti di oggetti senza contatto apparente
o il loro sollevamento nell'aria, non hanno trovato conferma scientifica. A
Parigi, nell'ormai lontano 1931, venne offerto un premio di 50 mila franchi a
chi, sotto stretto controllo, avesse fatto muovere una matita senza toccarla.
Ebbene, nessuno dei tanti medium specializzati in telecinesi si presentò
per tentare l'esperimento.
I difetti di molti
esperimenti iniziati nel secolo scorso da Crookes e continuati fino a oggi da
altri studiosi, appaiono così gravi dal punto di vista critico e
scientifico, da invalidare in gran parte l'autenticità dei fenomeni
conclamati. Ciò prova, del resto, che l'eccellenza in una disciplina non
è garanzia di valore in altri campi. Negli esperimenti medianici
intervengono certi fattori - come la buona o mala fede del medium, i suoi
artifici, i suoi giochi di destrezza - nell'apprezzamento dei quali vale
più la sagacia di chi è al corrente delle trappole degli
illusionisti, che le scrupolose precauzioni che può prendere uno
scienziato abituato a investigazioni dove non vi è da temere alcuna
maliziosa interferenza.
Si può essere un
eminente fisiologo, un eminente chimico, un eminente fisico, e trovarsi tuttavia
sprovvisto del fiuto del poliziotto o dell'abilità del prestigiatore:
tale infatti è il caso di uomini illustri in questo o in quel settore
della scienza, ma affatto incompetenti (nonostante i «rigorosi
controlli» escogitati) per indagare con successo intorno ai fenomeni
medianici. Coloro che si dedicano a simili ricerche raggiungono spesso la
convinzione che i fenomeni siano reali per una reazione analoga a quella di chi
vede un giocoliere estrarre un mucchio di nastri da un cappello dove prima non
vi era nulla; ossia si lasciano impressionare dall'effetto, con la differenza
che non lo ritengono dovuto a un trucco. A ciò si aggiunga la tendenza
innata in ogni essere umano verso ciò che è trascendente, e avremo
tratteggiato i principali elementi della psicologia di quei ricercatori che,
secondo il giudizio espresso all'inizio di questo secolo dall'antropologo
Giuseppe Sergi «sono grandi e civili nella scienza che professano, sono
primitivi davanti ai fenomeni detti spiritici come i pellerossa e gli aborigeni
australiani».
D'altra parte, gli stessi
spiritisti non sono mai riusciti a fornire una seria dimostrazione che i
fenomeni medianici sono provocati da defunti, e che quindi il medium è il
tramite fra il mondo dei vivi e quello dei morti. La stragrande maggioranza dei
«messaggi spiritici» è di una mediocrità deludente,
un'accozzaglia di «rivelazioni» puerili, un vaniloquio senza
costrutto. Tuttavia gli spiritisti tentarono di convalidare la loro tesi, o
meglio la loro fede, oltre che con le «materializzazioni», con quella
molto esigua parte di «messaggi» nella quale alcuni medium
dimostrarono facoltà di chiaroveggenza nel passato, nel presente e nel
futuro.
Ma anche tale tentativo fu inadeguato. Non
perché i fenomeni di chiaroveggenza si possano negare, ma per il fatto
che si riscontrano pure in individui che non si prestano a fare i medium, che
non credono all'intervento di «spiriti», che per dimostrare le loro
straordinarie capacità non hanno bisogno di prestarsi ai cerimoniali
degli spiritisti né di immergersi in un'atmosfera ultraterrena. Questi
individui, chiamati sensitivi, sono tutti coloro che offrono manifestazioni
psichiche, spontanee o provocate, le quali esulano dai normali mezzi di
conoscenza: lettura del pensiero, telepatia (trasmissione a distanza di
pensieri, o meglio di emozioni), rabdomanzia e radiestesia (ricerca di acque
sotterranee per mezzo di una bacchetta o di un pendolo) e tutte quelle altre
manifestazioni che, come si è detto, fanno parte della chiaroveggenza
nelle tre dimensioni del tempo.
Contrariamente al
medium, per il sensitivo il trance non è la regola. Tuttavia egli entra
egualmente in uno stato di ricettività nel quale si riscontra spesso una
specie di trance attenuato. Spesso il sensitivo ha bisogno di un supporto
materiale: dai fondi di caffè alle carte da tarocco; dalla palla di
cristallo alla mano sinistra della persona a cui deve «predire il
futuro»; dal pendolino che lo mette in comunicazione con luoghi e persone
lontani fino a un oggetto qualsiasi che gli consente di «rivivere» gli
avvenimenti di cui esso è stato l'inanimato testimone: a questa forma
molto elevata di chiaroveggenza nel passato è stato dato il nome di
psicometria.
Sgombrato il campo dalle illusioni e
dalle pretese dello spiritismo, studiosi di varia origine si sono dedicati a
esperimenti con sensitivi, per compiere indagini su quelli che una volta si
chiamavano fenomeni psichici dei medium, e oggi percezioni extrasensoriali,
includendo in esse anche quelle manifestazioni di natura
«occultistica» (come la magia, la telepatia, la rabdomanzia, la
radiestesia e le tecniche degli «indovini») che non facevano parte
dello spiritismo. Da questi esperimenti, da queste indagini è nata la
parapsicologia, una scienza che ancora stenta a trovare posto fra le altre, a
causa dell'esiguità dei suoi risultati.
La
parapsicologia compie indagini su una serie di fenomeni, in gran parte
psicologici e in parte anche psicofisiologici e psicofisici (quindi pure quelli
materiali prodotti dai medium o da altri individui), che per ora sembrano
esorbitare dalle classifiche e dalle definizioni accettate dalla scienza. Lo
scopo finale della parapsicologia è quello di inserire le percezioni
extrasensoriali, e tutti quei fenomeni eccezionali che indicano un'azione della
mente sulla materia, nell'ambito delle scienze
conosciute.
Si tratta di fatti che oggi sono ancora
ai margini della scienza accettata, e che in parte non si sa nemmeno se
esistano. Si è visto che certi fenomeni, una volta detti medianici e che
venivano attribuiti agli «spiriti», sono riconducibili ad
attività della mente umana, dell'organismo vivente. Sembra quindi
ragionevole prevedere che fenomeni «occulti»; come ad esempio la
telepatia o la radiestesia, faranno parte, prima o poi, di una psicofisiologia
ampliata. E si tratterebbe di un ampliamento rivoluzionario, perché
implicherebbe, molto probabilmente, anche una revisione dei concetti di tempo e
di spazio.
Le percezioni extrasensoriali sono
fenomeni vecchi quanto l'umanità e che, come l'ipnotismo, hanno avuto una
parte importantissima nella formazione dei concetti magici e religiosi. Anche
oggi si possono citare dozzine di questi casi straordinari, verificatisi
spontaneamente, che tanta presa hanno sull'animo popolare. Gli increduli
continuano a sostenere che si tratta di trucchi, di errate interpretazioni o di
coincidenze fortuite. Ma anche il caso ha dei limiti, che si possono accertare,
in modo matematico, con il calcolo delle
probabilità.
Da poco più di mezzo
secolo, ossia dall'inizio del periodo scientifico vero e proprio nella storia
dell'occultismo, si lavora con il preciso scopo di stabilire se davvero nella
mente umana possa entrare «qualcosa» attraverso altre vie che non
siano quelle dei sensi conosciuti. Molti fenomeni spontanei di percezione
extrasensoriale sono stati accuratamente documentati, vagliati, classificati e
discussi sotto ogni loro possibile aspetto. Da essi risulta in modo certo che (a
parte le frodi e le errate interpretazioni), l'uomo può acquisire notizie
e conoscenze anche al difuori dei sensi noti e dei processi logici. Tuttavia
molti studiosi non sono ancora soddisfatti: essi ritengono che dall'esame dei
casi spontanei di percezione extrasensoriale raccolti negli ultimi 70 anni si
possa trarre una presunzione molto forte in favore dell'esistenza effettiva di
tali fenomeni, ma non una loro inoppugnabile
dimostrazione.
Se si vuole sapere se effettivamente
la mente umana possa avere conoscenze extrasensoriali, bisogna abbandonare,
dicono questi studiosi, l'indagine sui fenomeni spontanei e la loro casistica,
per quanto interessante possa essere, e passare a un'indagine sistematica,
secondo i moduli della scienza sperimentale che esige la riproduzione e la
variazione a volontà di quei fenomeni la cui realtà e la cui
interpretazione devono essere rigidamente controllate. Occorre insomma lasciare
l'aneddotica per la sperimentazione.
Lo scienziato
che contribuì in modo decisivo al tentativo di far entrare la
parapsicologia nelle scienze sperimentali fu un botanico americano, il dottor
J.B. Rhine dell'Università Duke di Durham (Stati Uniti) che insieme alla
moglie si era familiarizzato con gli strumenti principali della biometria:
statistica e calcolo delle probabilità. Per molti anni (soprattutto fra
il 1930 e il '43) Rhine condusse una serie di pazientissime ricerche nel campo
della percezione extrasensoriale servendosi del metodo statistico-quantitativo.
Usò come materiale da esperimento le 5 carte Zener (dal nome del suo
ideatore), ognuna recante impresso un simbolo geometrico diverso: croce,
cerchio, stella, quadrato (o rettangolo) e
onda.
Con un mazzo di 25 carte Zener (5 per ciascun
simbolo) e applicando con rigore una metodologia scientifica, Rhine cercò
di mettere in evidenza le «facoltà divinatorie» umane, ossia di
stabilire sperimentalmente l'esistenza di ciò che egli stesso
chiamò percezione extrasensoriale. Non si servì di sensitivi, ma
di studenti volontari, partendo dal presupposto che questa misteriosa percezione
fosse presente, in vario grado, nella maggior parte degli individui. L'idea non
era nuova, ma gli esperimenti del genere tentati da altri studiosi erano stati
piuttosto brevi, poco metodici e male interpretati. Ed ecco quale fu il
procedimento adottato da Rhine.
Lo sperimentatore
mescolava le carte (Rhine lo sostituì anche con una macchina, per essere
certo che la mescolanza avveniva a caso), metteva il mazzo davanti a sé,
e il «gioco» cominciava. Il percipiente (ossia l'individuo che doveva
indovinare), si trovava dalla parte opposta di uno schermo divisorio, o in
un'altra stanza; o anche in un'altra casa; anzi, alcuni esperimenti vennero
compiuti a migliaia di chilometri di distanza.
Il
percipiente cercava di «vedere» mentalmente le carte, e annotava
quella che gli sembrava la loro successione, a partire dalla prima carta del
mazzo. Si confrontava la successione «indovinata» con quella reale,
poi si ricominciava, ripetendo la prova il maggior numero di volte possibile.
Infine il calcolo delle probabilità permetteva di accertare se i
risultati ottenuti erano da attribuirsi al caso, oppure a una facoltà
più o meno potente di percezione
extrasensoriale.
Secondo il calcolo delle
probabilità risulta che, dopo un gran numero di prove, in un mazzo di 25
carte Zener se ne indovinano 5 con maggior frequenza; meno frequente è
indovinarne 6, e ancor meno 7, e così via. Più il numero di carte
indovinate aumenta, più la prova è significativa, cioè vi
sono meno possibilità che le carte siano state indovinate per caso. Il
calcolo delle probabilità non fornisce mai una certezza assoluta:
è sempre possibile che un avvenimento altamente improbabile si verifichi,
ma la sua eventualità è praticamente trascurabile; se così
non fosse, le case da gioco e le compagnie di assicurazione
fallirebbero.
Ebbene, in migliaia e migliaia di
prove condotte da Rhine, si trovò che la media delle risposte corrette,
anziché limitarsi a 5 su 25, arrivava a 6,5 su 25, e saliva a 8, 9, 12 e
oltre in alcuni individui particolarmente dotati. Fra questi emerse uno studente
di teologia, Hubert Pearce, che su 1.625 chiamate diede 482 risposte corrette.
Riferendosi a tale risultato Rhine concluse: «Ora, se vi è qualcuno
disposto a credere che sia da attribuirsi al mero caso o alla fortuna, occorre
fargli notare un fatto strabiliante: esiste una sola probabilità su 100
milioni di miliardi che questo risultato sia soltanto
casuale».
Le ricerche di Rhine sembrano
dimostrare che la percezione extrasensoriale è un fenomeno reale.
Riferendosi anche ad analoghe indagini dei suoi collaboratori e di altri
studiosi americani ed europei, Rhine poté affermare: «I risultati
hanno mostrato che alcuni individui, per lo meno, sono in grado di esercitare la
percezione extrasensoriale in condizioni di stretto controllo. I ricercatori
hanno riscontrato che né il tempo né lo spazio influiscono sul
successo delle prove; esperimenti che mettevano in gioco avvenimenti futuri o a
lunga distanza erano non meno probanti di quelli riguardanti avvenimenti
contemporanei e a certa distanza». Rhine si riferiva infatti alla
capacità di alcuni individui non solo di dimostrare facoltà
telepatiche «indovinando» il simbolo di una carta che veniva loro
«trasmesso» dallo sperimentatore, vicino o lontano, ma anche di
«prevedere» il simbolo della carta seguente, ancora ignoto allo
sperimentatore.
Quest'ultimo fenomeno, che
giustificherebbe l'esistenza delle «premonizioni» (cioè di
facoltà di chiaroveggenza nel futuro anche in forma spontanea e nei
sogni) era già stato osservato, come si è detto, in alcuni medium
e sensitivi particolarmente dotati. Uno dei più validi continuatori della
scuola di Rhine, il matematico inglese S.G. Soal, ebbe l'occasione di
riscontrare che Basil Shackleton, uno dei volontari che partecipavano agli
esperimenti di percezione extrasensoriale, non era dotato di alcuna
facoltà telepatica, ossia che la sua capacità di indovinare la
successione di 25 carte non era significativa, riguardo alla chiaroveggenza nel
presente. Ma in compenso Shackleton dava prova di una spiccata chiaroveggenza
nel futuro, cioè era in grado di indovinare le carte successive a quelle
che man mano venivano prese dal mazzo.
SIAMO TUTTI VEGGENTI
Shackleton giunse al punto di
prevedere 1.101 carte su 3.789: vi era una probabilità su centinaia di
milioni di miliardi che questo risultato fosse dovuto al caso. Se il ritmo
dell'esperimento veniva accelerato, Shackleton indovinava non la prima, ma la
seconda carta successiva; se invece veniva rallentato, egli perdeva le sue
facoltà di preveggenza. Era come se nella sua mente esistesse una specie
di «orario precognitivo» che non poteva essere
alterato.
Fra tutte le percezioni extrasensoriali,
quella della chiaroveggenza nel futuro è la più difficile da
ammettere e da interpretare. Si può supporre, come nel caso di
Shackleton, l'esistenza di una specie di «seconda vista» attraverso un
mazzo di carte posto a distanza dal veggente; e si tratta già di una
supposizione ancora priva di significato scientifico. Ma che dire di tutti quei
fenomeni, molto rari e tuttavia bene accertati, che appartengono alle cosiddette
«profezie» perché si riferiscono ad avvenimenti futuri che sono
il risultato di una intricata concatenazione di fatti non ancora
esistenti?
La stragrande maggioranza delle
predizioni non si verifica, o se si verifica, non resiste a uno studio critico.
Tuttavia è provato che talvolta la mente umana è in grado di
conoscere fatti del prossimo o del lontano avvenire: ma il più delle
volte si tratta di fatti insignificanti più che drammatici; di dettagli
più che di un insieme coerente; o di una visione globale confusa; oppure
più di simboli che di una visione netta. Ecco perché la
chiaroveggenza nel futuro - si tratti di un sogno premonitorio o delle
previsioni di un astrologo - è un terreno molto insidioso che si presta
facilmente alle tesi opposte: negazione assoluta o tendenza all'accettazione.
Nell'uno e nell'altro caso, siamo di fronte a reazioni irrazionali, che
escludono la possibilità di una seria ricerca
scientifica.
Le manifestazioni meno rare della
percezione extrasensoriale sono la cosiddetta lettura del pensiero, la telepatia
e la radiestesia; più difficile è trovare individui dotati di
chiaroveggenza nel passato, ed eccezionali sono quelli che mostrano di avere
qualche forma di chiaroveggenza nel futuro. Ma le ricerche iniziate da Rhine e
continuate da altri studiosi che hanno adottato il suo metodo statistico,
sembrano dimostrare che, contrariamente alla comune opinione, la percezione
extrasensoriale non è un dono limitato a pochi individui bensì
che, nel complesso, è presente allo stato potenziale o attuale (con
infinite sfumature) in tutti gli esseri umani.
Si
potrebbe perciò dire che veggenti lo siamo un poco tutti, anche se non ce
ne rendiamo conto perché in noi la percezione extrasensoriale è
così scarsamente sviluppata da indurci a confonderla con le percezioni
ordinarie. Quelli che vengono chiamati sensitivi sarebbero individui più
dotati; tuttavia anche coloro che non hanno mai manifestato particolari
disposizioni di veggenza possono essere favoriti, una volta tanto, in modo
eccezionale, per esempio da una comunicazione telepatica straordinaria per
chiarezza e fedeltà.
Ma qual è la
natura della percezione extrasensoriale? Quali ne sono i vettori, gli organi
emittenti, riceventi e percettivi? Questa enigmatica percezione è legata
all'esistenza di organi di senso sconosciuti o viene registrata direttamente dal
cervello? Fino a oggi, tali domande sono rimaste senza
risposta.
Lettura del pensiero, telepatia,
radiestesia, fanno pensare a radiazioni, provenienti da una mente o dalla
materia inanimata, che verrebbero captate dall'individuo sensitivo. Ma questa
immagine del cervello che funzionerebbe come una stazione radio ricevente sembra
essere errata. L'esistenza di cosiddette «onde del pensiero» non
è stata mai dimostrata; ed è escluso che esse possano essere di
natura elettromagnetica, perché si è riscontrato, ad esempio, che
un messaggio telepatico può essere ricevuto anche da un individuo chiuso
in un ambiente isolato dalle radiazioni
elettromagnetiche.
D'altra parte, è
difficile parlare di radiazioni quando un radioestesista usa lo stesso pendolino
sia per cercare una sorgente sotterranea, sia per dare notizie di una persona
scomparsa; o quando un sensitivo dà prova di chiaroveggenza nel passato e
perfino nel futuro. Si parla di percezione extrasensoriale. Ma è certo
che si tratti di una forma di percezione?
Si ignora
quale sia la natura dello stimolo, e tuttavia bisogna pur ammettere che vi sia
un recettore, altrimenti nel sensitivo il fenomeno non si produrrebbe. Nessuno
stimolo fisico conosciuto sembra entrare in gioco, eppure è evidente che
egli risponde a qualcosa che ha carattere soprattutto psicologico, ma che
appartiene a una psicologia ancora tutta da scoprire. Del resto, sul concetto
stesso di percezione normale gli scienziati non hanno ancora idee
chiare.
Sembra però poco probabile che le
facoltà extrasensoriali rappresentino un progresso, e che si possa dare
qualche credito a immagini da fantascienza come quella che ci rappresenta una
umanità futura in grado di esprimersi senza parlare, per mezzo della
telepatia. Pare invece che, in accordo con un giudizio già espresso da
Freud, tali facoltà siano regressive: infatti esse si riscontrano,
più sviluppate che nell'uomo civile, nelle popolazioni meno evolute, nei
cosiddetti «selvaggi» e negli animali. Si ritiene che questi ultimi,
specialmente, vadano soggetti a percezioni che rivestono un carattere meno
eccezionale dei fenomeni umani a cui si accorda tale aggettivo. Per quanto
straordinarie ci appaiano, le percezioni extrasensoriali rappresenterebbero
dunque le sopravvivenze di un mondo primitivo di conoscenza e di azione
anteriore alla coscienza. Esse si dimostrano assai spesso insicure, imprecise, e
approdano a numerosi errori. «I fenomeni di percezione extrasensoriale
influiscono poco o affatto sullo sviluppo della nostra cultura. Essi sono, in
effetti, infinitamente meno utili dei normali mezzi di comunicazione. Nessuno
può mettere in dubbio che un caso di telepatia, per quanto clamoroso,
è infinitamente meno comodo e preciso di un telegramma o di una chiamata
telefonica» (Servadio).
Ciò significa,
in conclusione, che le percezioni extrasensoriali - almeno quelle di veggenza
nel presente - sono dei mezzi di conoscenza arcaici tra gli individui, e tra
questi e l'ambiente circostante, e che allo stato attuale rappresentano un mezzo
di comunicazione del tutto insufficiente rispetto al pensiero cosciente, alla
parola parlata o scritta, a tutte quelle facoltà e attività
psichiche superiori che distinguono l'uomo
dall'animale.
Resta da ricordare che Rhine,
passando dalle carte Zener ai dadi, sostenne di aver dimostrato anche
l'esistenza dell'effetto psicocinetico, cioè di un'azione dinamica della
mente sulla materia. Infatti egli riscontrò che, lanciando un gran numero
di volte (anche per mezzo di una macchina) un gruppo di dadi, nella frequenza
dei numeri usciti si riscontrano variazioni significative, che sembrano non
dovute al caso, ma alla volontà di far uscire un numero piuttosto che un
altro.
La realtà dell'effetto psicocinetico
è molto discussa, anche perché potrebbe trattarsi di un fenomeno
di precognizione analogo, per esempio, a quello di Shackleton, il sensitivo
sperimentato da Soal che, come si è detto, indovinava le carte
successive. Se si ottenesse la prova scientifica dell'effetto psicocinetico,
evidentemente si potrebbe intravedete la possibilità di confermare
l'esistenza della telecinesi e della levitazione dei medium, dei fachiri e dei
mistici, forse perfino di quella supposta psicobolia che confermerebbe certe
azioni della magia nera.
Ma la scienza non è
fatta di «se» e di «forse» suo compito consiste nello
svelare razionalmente ciò che è occulto, non già nel
fornire nuovi argomenti di speculazione agli amanti del meraviglioso. Occorre,
se mai, imparare a meravigliarsi dei fenomeni più comuni: anche il
semplice atto di alzare un braccio può essere interpretato come un'azione
della mente sulla materia, come un effetto psicocinetico.